giovedì 8 novembre 2012

Io e te


Io e te. Come potrò dire a mio padre che ho paura?


Bello il cinema che non ha paura di sprofondare nel sottosuolo per narrare il terrore del vivere.
Bellissimo l'intreccio di colori, penombre, improvvisi di luce.
Bernardo Bertolucci, sulle orme del racconto di formazione di Niccolò Ammaniti, ci prende per mano con gentilezza poetica, mosso dal desiderio di condividere le sequenze gettate dal suo sguardo tra i meandri della psiche umana.
Ci sono fasi della vita dominate dalla assenza assordante di domani luminosi.
Ci sono dolori figli dell'odio altrui, sofferenze indicibili, sconosciute ai linguaggi dell'amore.
Capita che i sogni dei piccoli siano uccisi con largo anticipo dall'incuria dei grandi.
Succede che il cinismo precipiti, indiscriminatamente, sulla sacralità dell'esistenza in divenire.
Eppure la vita insiste nella necessità di dirsi presente all'appello immaginario del giorno per giorno, dell'ora per ora, del qui e adesso. 
Il ricorso alle pillole di quotidianità rassicurante si respira col latte materno.
Fioriscono domande destinate a incrociare le tenebre del nulla.
Papà dov'è?
Per quale motivo ha rinchiuso i suoi sensi di colpa nello scatolone che porta il mio nome?
Come può continuare a vivere mentre noi sprofondiamo nelle sabbie mobili della sua cantina?
Io e te. Io e te. 
Il sangue sa essere crudele, viene voglia di strozzare le vene, si rischia di impazzire, si scoppia di parole negate.
La tua coscienza mi annega dentro.
Grido forte, a tempo di musica spaziale.
Mi inietto la tua rabbia.
Vomito il tuo dolore.
Sprofondo, come hai fatto tu di fronte alle nascite senza coraggio.
Io e te. Io e te.
Fratello, sorella.
La madre e il suo doppio.
Non c'è abbandono che non lasci traccia.
Come potremo dire a nostro padre che abbiamo paura?

"Gli arcobaleni di altri mondi
hanno colori che non so
Lungo i ruscelli di altri mondi
nascono fiori che non ho"
[Intermezzo - Tutti morimmo a stento, Fabrizio De André - 1970]